Inclusione e politiche di integrazione. Essere cittadini: tra partecipazione e diritti
Mille mondi a scuolaMitu Riva
17 dicembre 2023
Inclusione e politiche di integrazione. Essere cittadini: tra partecipazione e diritti
Di / Mitu Riva
Lunedì 20 novembre ero presente all’inaugurazione dell’ultima delle sei settimane tematiche che quest’anno il progetto Fileo ha organizzato per approfondire i caldi temi che interrogano la nostra città come il mondo: “intercultura”, “mobilità umana” e “dialogo interreligioso”. Era presente Max Hirzel, fotoreporter che ha presentato la mostra “Human Lines” - anatomia di un’accoglienza”, guidando i presenti tra i pannelli espositivi.
Questa settimana novembrina è stata intitola “Inclusione e politiche di integrazione. Essere cittadini: tra partecipazione. diritti.” Il focus sulla cittadinanza, come appartenenza, per chi arriva in Italia agognata e complessa, si è declinato in svariate iniziative, con momenti dedicati alla formazione insieme a Cisl, Cgil, Acli e Caritas. In particolare nella serata di venerdì 24 novembre è stato analizzato il Rapporto Immigrazione 2023 Caritas-Migrantes con il caporedattore dell’Eco di Bergamo Andrea Valesini, cercando di scorgere oltre i numeri le traiettorie e le domande che i dati suggeriscono. La settimana si è poi chiusa con un grande evento che nella giornata di domenica 26 novembre ha coinvolto tutta la città, essendo previsti quattro luoghi di Città Alata con stand di diverse realtà e associazioni che hanno scelto di approfondire i temi di: “mondialità”, “lavoro”, “migrazioni”, “disuguaglianze” e “parole di pace”.
Durante l’inaugurazione mi ha particolarmente colpita l’intervento di Max Hirzel, fotoreporter di cui era esposta la mostra “Human Lines” - anatomia di un’accoglienza”. Max ha una consolidata esperienza, anche lavorativa, nell’ambito della migrazione; la sua esigenza di racconto nasce dalla constatazione che c’è una distanza abissale tra la realtà e la percezione dell’opinione pubblica sul tema e dalla volontà di riuscire a trovare un’angolazione che permetta di avvicinare la percezione alla realtà.
Uno dei suoi ultimi lavori è stato “Corpi Migranti”, un libro che racconta, attraverso immagini e parole, il tema della morte nel Mediterraneo e documenta i sistemi di gestione dei corpi dei migranti deceduti nel tentativo di raggiungere l'Italia. Partendo dai cimiteri siciliani, per capire dove e come questi corpi sono sepolti, a quanti è stato dato un nome o cosa c'è in mancanza, il lungo percorso di indagine termina in un villaggio del Saloum, in Senegal. Alla percezione collettiva di fatalità ineluttabile e tragedia inevitabile, questo lavoro oppone una visione scarna di ciò che ruota attorno a questi corpi per rivelare la realtà per ciò che è: un'aberrazione che non dovremmo permettere né accettare.
La mostra installata in Abbazia, invece, è l’esito di quattro anni di lavoro assieme ad un’équipe di professionisti. Quando Max è andato a fotografe i corridoi umanitari in Etiopia, è stato intercettato da una ricercatrice d’un università americana, la quale gli ha proposto di curare una narrazione convergente alla sua ricerca. L’oggetto di studio e di racconto sono dunque i corridoi umanitari gestiti dalla Caritas, si tratta di un tipo di accoglienza privilegiata, il percorso di migrazione è reso possibile per vie legali e guidato da una rete di operatori e volontari, i quali individuano i diversi nuclei disponibili ad accogliere le persone in casa. Il progetto Caritas si basa sulla scelta dei beneficiari, individui fragili ai quali si concederà un visto particolare e un progetto di aiuto e, inoltre, sul coinvolgimento dei territori, che consiste nel rendere la comunità in cui verranno inseriti le persone solidale ed accogliente.
L’obiettivo di questa mostra, afferma Max, è stato raccontare i corridoi umanitari in modo realistico; non si è voluta fare una celebrazione dei corridoi, ma un’analisi oggettiva per far sì che si individuino i punti di forza e i punti critici di questo progetto. Il fotografo riporta che questo lavoro gli ha permesso di scoprire l’essenza dell’incontro e la sua complessità. Durante il suo lavoro ha visto la generazione di ciò che lui definisce “cortocircuiti”, raccontati anche nella sua mostra, nati dallo scontro tra due o più prospettive culturali. Per evitare il cosiddetto “cultural crash”, questi cortocircuiti, Max suggerisce una maggior apertura mentale. Si pensa sempre di sapere cosa sia meglio per l’altro, ma in realtà un passo avanti sarebbe riuscire ad immaginare che l’altro possa pensare in maniera diversa. Normalmente risulta difficile che si parli dei meccanismi di accoglienza; questa mostra ha approfondito specificamente la complessità di questi processi ed è divenuta uno strumento non solo informativo, ma utile per rielaborare l’esperienza per chi l’ha vissuta come volontario o operatore.
Sono diverse le tematiche interessanti e innovative riportate nella mostra su cui, sfilando tra i pannelli, ci siamo soffermati. Mi ha colpita particolarmente la storia di un bambino e del suo arrivo in Italia. Max racconta che il bambino dodicenne viene accolto da una famiglia italiana, la quale si era resa disponibile. Il bambino riferisce di sentire la mancanza del campo. Dal nostro punto di vista è difficile comprendere, ma per chi è cresciuto o ha avuto esperienze in un campo profughi, ha vissuto all’interno di una comunità straordinaria e di grandissima solidarietà. Quella vita comunitaria, con i volontari e la rete attorno, può mancare una volta trapiantati in un altro contesto, per quanto indubbiamente migliore. Infatti, si cerca di solito di collocare nella stessa zona e città famiglie della stessa provenienza per evitare lo stacco netto e mantenere il fondamentale senso di appartenenza e comunità. Un altro tema interessante emerso nella mostra è la differenza tra i corridoi umanitari e altri viaggi di immigrazione. Un pannello racconta la straordinaria attività dei volontari e operatori, i quali mostrano ai futuri beneficiari, tramite videochiamata, la casa e le persone che li aspettano. Max sottolinea la triste differenza tra i bambini che si vestono eleganti e di rosso per il primo incontro con i nuclei familiari accoglienti e chi si veste di rosso per essere notato dai soccorsi in caso di naufragio.
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