La Torre di Babel Bergamasca
Mille mondi a scuolaRedazione Babel
01 marzo 2021
La torre di Babel bergamasca
di / Noha Tofeile
In via Garibaldi, a Bergamo, si cela una piccola miniera multiculturale: lo studentato universitario.
Lì vivono molti studenti come Omar, che si è catapultato dal Mozambico e Anitta, che ha avverato il proprio sogno di scoprire la realtà lontana dalla sua terra nativa, il Kerala.
“Un proverbio africano dice che chi nasce, vive e muore nel suo paese, non ha vissuto” racconta Omar. Così, vinta la borsa di studio, ha colto immediata- mente l’opportunità e nel 2019 si è trasferito in Italia.
“Ammetto che all’inizio è stato difficile. Soprattutto con le persone”. Abituato al calore affettivo del Mozambico, dove si stringe amicizia al primo saluto, instaurare rapporti per lui non è stato facile: “Tutti sono gentili, ma c’è un velo di formalità, a me insolita, che mi ha fatto sentire lo straniero”. Anche in università ha trovato alcune difficoltà: “Ero abituato a sessioni di studio collettivo. Qui mi sono dovuto adattare a quelle individuali. Per fortuna, non mi sono arreso e, superato lo shock iniziale, ho conosciuto molti ragazzi con cui, con il tempo, ho stretto amicizia”.
Poi è arrivato il Covid, ma con un risvolto positivo. “Rinunciando alle nostre vite fuori dallo studentato, abbiamo iniziato a riunirci ogni giorno e condividere cibo, tempo e storie”. Questa esperienza ha permesso a Omar di conoscere un mondo nuovo, inaspettato, ma che forse non l’ha conquistato totalmente.
“Amo l’Italia ma... casa dolce casa, il Mozambico è il mio paradiso”.
Anitta è qui da poco tempo; nonostante il Covid non le permetta di andare in università e fare amici- zia, non perde l’entusiasmo. “Manoharam, beautiful”. Descrive così la sua esperienza a Bergamo. “La città è bellissima e sicura. La sera posso passeggiare senza paura”. Come Omar, anche lei nota un lato più freddo e distaccato delle persone: “Ti trattano tutti con cordialità. Ti salutano, ti chiedono come stai, ma poi se ne vanno. Da noi invece si parla un sacco”. All’interno dello studentato, la prima cosa che ha notato è stata la multinazionalità. “In Kerala è diverso: sono tutti indiani. La differenza è che per le strade non vedi solo campanili come a Bergamo, ci sono moschee, templi e chiese gli uni accanto agli altri”. È un mondo tutto nuovo per lei: dalla lingua fino ad arrivare al cibo – che ammette, nelle rare occasioni in cui lo mangia, non resiste ad aggiungergli un po’ di sapori di casa. “Sicuramente il Kerala mi manca molto, ma qui mi sento libera ed indipendente e non vedo l’ora di scoprire ancora di più. C’è solo una cosa che non capisco: perché, in Italia chiedete sempre scusa?”.