I RIFUGIATI E L'ABBANDONO DELLA CASA: TRA LA NOSTALGIA E TRAUMA
Speciali & extraRedazione Babel
01 febbraio 2020
I RIFUGIATI E L'ABBANDONO DELLA CASA: TRA NOSTALGIA E TRAUMA
Per la FIEB
di / Andrea Pendezzini
Quando si pensa ai ‘rifugiati’ da una prospettiva psicologica, la prima associazione che di solito viene fatta è al trauma. Ciò che però sembra fin troppo banale ricordare è che, in realtà, l’esperienza comune a tutti i ‘richiedenti asilo’ e i ‘rifugiati’ è la perdita della casa, con tutte le connotazioni culturali, sociali, politiche ed esistenziali che essa può avere. L’idea di casa di per sé include quindi una polarità di esperienze apparentemente opposte, vale a dire pertinenti sia all’inizio che alla fine. L’idea stessa di casa include sia le origini che le mete cui si aspira. Casa è sia il luogo percepito di origine, sia la destinazione desiderata, la meta, il fine, il telos. Il modo usuale in cui tendiamo a interpretare l’idea di arrivare a casa riguarda tuttavia un’unica direzione: la regressione, il ritorno alla casa di origine (fisica, geografica, metaforica), al luogo, ambiente culturale o spazio psicologico in cui siamo nati o cresciuti. Quando i rifugiati si struggono per la propria casa, è qui importante ricordare l’implicita direzione dicotomica che viene generata dalla nostalgia, e che è probabile venga asservita alla direzione dominante dalla regressione.
Nella tradizione europea è ‘nostalgia’ il termine più frequentemente utilizzato per descrivere il complesso di sentimenti, reazioni, speranze, timori che caratterizzano il vissuto di colui che si trova lontano da casa. Nostos in greco classico significa ‘ritornare a casa’, mentre algos è dolore, pena. Per cui ‘nostalgia’ è il senso di struggimento per il ritorno, la ferita e la sofferenza che sperimenta una persona nel desiderio di tornare a casa. Da una prospettiva antropologica, del resto, essa può assumere un profilo subdolo per il migrante di oggi: egli si trova a vivere spesso il processo migratorio come un’ingiustizia di cui è vittima, ma allo stesso tempo si percepisce come l’esecutore della propria condanna. È lui infatti che ha ‘scelto’ di partire, e questo è spesso valido anche nel vissuto interiore di colui che scappa da guerra e violenza - come tra l’altro è confermato da numerosi dialoghi avuti con ‘richiedenti asilo’ e ‘rifugiati’ nel corso del campo di ricerca. La sofferenza che nasce da questa ambivalenza può dunque rappresentare un lento tormento che insinua sempre nuovi dubbi e corrode le poche certezze. Ed è proprio l’ambivalenza la cifra più significativa della ‘nostalgia’ dei migranti e dei ‘rifugiati’ in particolare: da un lato la sofferenza per la perdita della casa, del Paese d’origine, dei legami sociali, dall’altro lato il desiderio di autonomia, di separazione, di rivolta rispetto al contesto di partenza. La nostalgia può però rappresentare anche un’arma di difesa, una strategia messa in atto da chi cerca, sospeso dentro a una rete di dilemmi, difficoltà, incertezze - per far fronte al presente - di reperire risorse emozionali dal proprio passato, laddove si era costruito il senso di sé, il nucleo più profondo dell’identità. La ‘nostalgia’ può dunque rappresentare una critica rivolta verso il contesto di accoglienza: prima era il Paese d’origine a essere mal sopportato, ora invece viene idealizzato. E il Paese ospite, prima investito di svariate virtù risolutrici, si svela come un luogo di incertezze e soprusi. Accusa e autoaccusa: ecco quanto fonda indissolubilmente la condizione dell’emigrato e la condizione dell’immigrato”.
Casa, passato, nostalgia, identità... temi e luoghi che accomunano e che interrogano...