Giovani, credenti

Giovani, credenti

Molte fedi nella preghiera
Redazione Babel

Redazione Babel

01 settembre 2022

Giovani, Credenti

Cosa vuol dire, oggi, essere giovani che credono?
Abbiamo deciso di chiederlo a tre ragazzi di fede diversa del- la nostra città: Anroop, di fede Sikh; Carolina, di fede cattolica e Amina, di fede islamica. Per provare a scoprire insieme ciò che ci unisce.

Due parole su di te.

ANROOP: Mi chiamo Anroop, ho 17 anni e frequento la terza superiore a Sarnico. Sono nato in India, luogo del quale mi sento molto fiero di “portarmi addosso“ le origini e la cultura. Sono un ragazzo molto aperto e disponibile con tutti; amo la fotografia: è una delle mie passioni più grandi. Una volta che ho la macchina fotografica in mano non riesco più a fermarmi...

CAROLINA: Mi chiamo Carolina e vengo dalla Bolivia, sono in Italia da 11 anni. Da quando sono arrivata, ho sempre avuto il desiderio di darmi da fare, e sapevo che il primo passo era imparare la lingua. Tre giorni dopo essere arrivata a Bergamo, dove non conoscevo nessuno, ho messo piede per la prima volta all’oratorio di San Lazzaro, che da allora è sempre stato un punto di riferimento per me.

AMINA: Sono Amina (in arabo significa “degna di fiducia”), abito nella provincia di Bergamo per residenza e trascorro le mie giornate nella amata Bergamo per motivi di lavoro. Sono figlia di prima generazione e viaggio sempre con due passaporti, uno marocchino e uno italiano. Studio Cooperazione internazionale all’Università di Bergamo e sono anche una collaboratrice presso un ente pubblico. La cucina italiana ha un punto in favore per il mio palato: il sabato a casa nostra si cena con la pizza, fatta rigorosamente in casa con abbondanti dosi di mozzarella filante, olive e passata, accompagnata da un bicchiere di tè alla menta: un connubio delizioso!

Cosa significa, per te, credere?

ANROOP: Per me credere è semplicemente fidarsi di qualcuno o di qualcosa ciecamente... qualcuno a cui puoi confidare i tuoi segreti e che sai che li manterrà per sempre, qualcuno che è sempre disposto a perdonarti per qualsiasi cosa tu faccia, qualcuno che ci sia nel momento del bisogno. Io nella mia religione trovo quel qualcuno, che mi abbraccia e mi accoglie ogni volta che succede qualcosa e mi aiuta ad uscirne fuori... per questo io credo.

CAROLINA: Credere vuol dire avere fede, e la fede è un dono. Se ce l’hai, sei a posto: puoi andare avanti, sai che non sei sola anche quando lo sei fisicamente: c’è qualcuno con te. La fede poi è la cosa più meravigliosa che sento dentro! E mi sento molto benedetta. Perché so che non per tutti è così. Ma come potrei andare avanti senza questa cosa che mi brucia dentro?


AMINA: Significa avere un’entità al di sopra di tutto e di tutti, che sai che sarà sempre al tuo ascolto. Quando hai bisogno, sei frustrata o arrabbia- ta puoi rivolgerti a Lui e chiedere tutto ciò di cui hai bisogno e, al suo tempo, avrai delle risposte. Credere è affermare di professare una certa fede o meglio dimostrare di essere un fedele, altrimenti si tratta solo di un’etichetta indossabile per comodità e a proprio piacimento.

Come vivi la fede nella tua vita quotidiana?
ANROOP: Ogni giorno è un avventura per me: seguo la mia fede in ogni suo particolare nonostante sia molto difficile vivere in un mondo occidentale dove le persone ti giudicano dai tuoi costumi e usi, cercando di isola- re il diverso. Nonostante tutto ciò, la voglia di avere una propria identità è sempre forte: per questo rimango saldo alla mia religione.

CAROLINA: Un sogno che ho sempre avuto è quello di portare la parola di Dio con la mia vita, consegnarmi, aiutare le persone meno fortunate. Non ho molti soldi, ma ho provato a regalare il mio tempo. Il mio scopo nella vita non è mai stato il lavoro: certo, ho dovuto lavorare, e anche tanto, ma solo lavoro no. Voglio an- che dedicarmi a me, e il modo più bello per farlo è dare agli altri. Per questo ad un certo punto ho lasciato i miei lavori, ho fatto i corsi al centro missionario e sono partita per due esperienze missionarie. Ho portato poco, ma sono tornata a casa con tan- to. Mi riempie: questa è la vera gioia.

AMINA: L’islam prevede 5 preghiere da svolgere nell’arco della giornata e dati gli impegni lavorativi risulta difficile rispettarne gli orari. Inoltre siamo a fine Ramadan, il mese del digiuno che prevede la totale astensione dal cibo dall’alba al tramonto e questo in pratica vuol dire vivere la propria routine eliminando la pausa caffè. L’islam può essere vissuto quotidianamente anche con le invocazioni (du’a) da recitare in alcuni mo- menti, ad esempio quando si esce di casa, quando si starnutisce, quando si inizia e quando si finisce di man- giare e quando si guarda qualcosa di molto bello.

Che valore hanno per te i momenti di ritrovo con la comunità?

ANROOP: Ogni domenica mi ritrovo con i miei amici e parenti in un luogo di culto dove persone di ogni età sopraggiungono da ogni dove per cantare le preghiere; dal più piccolo al più grande si crea una forza invisibile che scorre nelle vene di ognuno di noi, facendoci dimenticare ogni paura o ansia che ci percorre. Inoltre è un momento dove tutti sono felici e ognuno impara dall’altro.

CAROLINA: L’importante per me è frequentare. La mia parrocchia di riferimento è quella di San Lazzaro, ma se mi capita vado a Messa anche altrove. Con la comunità latinoamericana di San Lazzaro ho avuto per 7-8 anni la possibilità di ballare per un progetto molto bello, chiamato “Yanapakuna”, parola che in lingua quechua significa “Aiutiamoci a vicenda”: andavamo in giro a ballare, ma c’era un senso profondo, perché il ricavato lo donavamo ai bambini poveri del Potosi in Bolivia, figli dei minatori.

AMINA: Sono incontri preziosi secondo me, in quanto si riesce a confrontarsi con persone con cui si condivi- de la fede e spesso anche la cultura e la lingua, in un’ottica di condivisione di idee costruttive. Per i figli di prima generazione significa anche manifestare il proprio Io religioso e far parte di una collettività che si riunisce con l’obiettivo di pregare e lodare il Dio. Per me questo ha un grande valore poiché si riesce a rimettere sullo stesso piano l’aspetto spirituale e la quotidianità, dedicando a ciascuno il proprio tempo.

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